Convert mon amour
Il fatto che questo sia per me un periodo di forzata inattività, non significa adagiarsi in una mollezza ovattata che non mi appartiene. Sto impiegando così il tempo in tutte quelle attività da scrivania che hanno a che fare con lo studio e la ricerca di informazioni utili a prendere decisioni. In particolare ce n’è una particolarmente importante: l’individuazione della moto più adatta. Gli elementi di cui tener conto sono in fondo pochi ma richiedono un’attenta valutazione comparativa. In sostanza si riducono a due: aspetti tecnico-meccanici e aspetti legati alle necessità funzionali connesse alla tipologia di disabilità. In realtà ce ne sarebbe anche un terzo che, per quanto del tutto marginale, per me è altrettanto importante: l’aspetto estetico e sentimentale.
Partiamo da quest’ultimo. È indubbio che l’idea di tornare in sella risponde a una grande passione, ma c’è anche dell’altro. Il rapporto che si instaura tra un motociclista e il proprio mezzo è molto diverso da quello che può esistere tra auto e automobilisti. Più intimo, più viscerale. Puoi prestare l’auto al tuo migliore amico, mai la tua moto. È un legame troppo esclusivo per non avere caratteristiche quasi morbose di possesso e gelosia. È insomma il rapporto uomo-macchina che più si avvicina a una grande storia d’amore. Nel mio caso c’è anche un altro aspetto: quello di riallacciarsi a un passato che è stato brutalmente lacerato da un evento traumatico. Questo significa ripartire da dove si è interrotto e dato che la mia era una Moto Guzzi degli anni Ottanta, quella di oggi dovrà essere ancora una Guzzi di quel periodo. Ovviamente questo complica enormemente le cose perché restringe le opzioni disponibili. Ma che volete farci? Sono un inguaribile romantico.
Vediamole allora queste opzioni. Iniziamo dalle considerazioni tecniche. Oggi le moto, per quanto riguarda la trasmissione, si dividono in due grandi categorie: moto con cambio manuale e moto con cambio automatico. Il cambio assicura la trasmissione della potenza dal motore alle ruote motrici e ha il compito di adattare la velocità di rotazione delle ruote alla forza (o coppia) erogata in base alle diverse condizioni di guida. Non è sempre stato così. Il cambio automatico sulle moto, rispetto al mondo dell’auto, non ha mai avuto un grande successo, anzi è stato sempre fortemente osteggiato e ancora più decisamente da quando ha preso piede la diffusione di scooter e scooteroni a variatore. Per un motociclista lo scooter è quasi una bestemmia: non è che non prenda in considerazione uno scooterista, non lo vede proprio e i sentimenti oscillano tra l’indifferenza e l’odio più viscerale. Oggi tuttavia molti costruttori stanno adottando cambi automatici anche sulle moto. La parte del leone, da questo punto di vista, la fa sicuramente Honda che dispone anche delle soluzioni più avanzate e continua ormai da anni a sperimentare. I motivi di questo mutamento di rotta sono sostanzialmente due: l’introduzione massiccia dell’elettronica e di dispositivi controllati da computer anche sulle due ruote e la produzione sempre più consistente di veicoli elettrici.
I tipi di cambio automatico più diffusi sono il cambio a variazione continua CVT (Continuously Variable Transmission) principalmente adottato negli scooter e il molto più performante cambio a doppia frizione DCT (Dual Clutch Transmission). Oggi il mercato offre diversi modelli di moto con cambio DCT: dai cruiser, alle “tutto terreno”, agli assetti racing. Insomma, ce n’è per tutti i gusti e per tutte le tasche. Ma sono tutti modelli che hanno al massimo una decina d’anni. Io, come già anticipato precedentemente, sono obbligato al cambio automatico e sembrerebbe proprio che per chi è orientato a una moto anni Ottanta non ci sia via di scampo. E invece no, perché una soluzione esiste, una sola, ed è proprio una Guzzi.
Mandello del Lario, anni Settanta. Nell’ufficio progettazione dell’ingegner Lino Tonti, lui e il suo team stanno pensando di fare una cosa mai tentata prima: realizzare il primo cambio automatico al mondo specificatamente ideato per essere installato su una moto gran turismo. L’idea è quella di rispondere alle esigenze delle Forze di Polizia (in Italia, per esempio, il Corpo dei Corazzieri che sono spesso impegnati nelle scorte d’onore dove è necessario tenere andature lente, fluide e regolari che col cambio manuale metterebbero a dura prova piloti e organi meccanici) e sbarcare sul mercato statunitense. Nasce così la Moto Guzzi V1000 Idroconvert. Inutile dire che fu un insuccesso, ma l’altissimo tasso di soluzioni innovative rimane. Oltre alla trasmissione automatica, infatti, la Convert viene equipaggiata col sistema di frenata integrale sviluppato insieme alla Brembo per il reparto corse e in seguito adottato da tutti i modelli successivi, e un motore portato per la prima volta alle generose dimensioni di 1000 cc. Il design è nel più puro stile Guzzi con particolari curatissimi e un profluvio di cromature. Il ricorso a una grossa cilindrata si è reso necessario dalla trasmissione automatica idraulica che “divora” potenza e coppia e vuole un supplemento di CV. La potenza erogata passa così da 68,5 CV a 6800 rpm a 71 CV a 6500 rpm, con un incremento di coppia ai bassi regimi più che sufficiente a colmare l’assorbimento della trasmissione.
E veniamo alla caratteristica più innovativa. Il cambio automatico è a due rapporti: il primo permette velocità da 0 a 130 km/h, il secondo da 0 a 170 km/h circa. Per modificare la configurazione è sufficiente utilizzare la leva del cambio a bilanciere col piede sinistro previo azionamento della leva della frizione. La leva della frizione, inoltre, funge anche da dispositivo di sicurezza da azionarsi al momento dell’avviamento per evitare eventuali movimenti in avanti della moto. L’altra grandissima novità è la frenata integrale. Normalmente le moto dispongono di tre dischi frenanti – due sulla ruota anteriore e uno su quella posteriore – ma mentre in tutte le altre moto la leva sul manubrio controlla i due dischi anteriori e il pedale quello posteriore, sulle Guzzi cambia tutto. Nel sistema integrale Brembo, il pedale fa entrare in azione simultaneamente il disco posteriore e il disco anteriore sinistro mentre un ripartitore di frenata divide la potenza con maggior forza sull’anteriore senza però far mai giungere al bloccaggio; l’altro si comanda come di norma con la leva sul manubrio. Il disco posteriore assolve anche a una funzione di sicurezza: una ganascia meccanica si chiude automaticamente quando si apre il cavalletto laterale così si ha un freno di stazionamento per parcheggiare in pendenza senza pericolo che la moto possa muoversi. Secondo le recensioni, la guida di questa moto è semplice e intuitiva e, nonostante il peso, risulta incredibilmente stabile, agile e maneggevole. Il rapporto più corto si usa nei percorsi urbani e nel misto stretto, quello più lungo sulle strade extra-urbane e in autostrada. La seduta è estremamente confortevole. Ci sono, naturalmente, anche svantaggi rispetto a una moto con cambio manuale. La Convert richiede una revisione della normale tecnica di guida perché il convertitore tende a slittare durante le accelerazioni rapide e il freno motore non è controllabile. L’accelerazione infatti è lenta e non ha lo spunto fulmineo o la ripresa come col cambio manuale. Questo perché la potenza viene trasmessa dal motore attraverso un fluido (olio) che spinto a forza da una chiocciola/centrifuga viene sparato sugli ingranaggi facendoli girare. Quando si chiude il gas, fino ai 70 km/h il freno motore è debole ma c’è, il problema si manifesta sotto i 70 km/h: una situazione che nelle discese obbliga a usare generosamente i freni. La soluzione è aprire e chiudere il gas un poco in anticipo rispetto al solito.
Dopo questa lunga ma necessaria carrellata, veniamo agli altri adattamenti da apportare. Al modello originale, oltre allo scambio da sinistra a destra dei blocchetti con i dispositivi di controllo (devioluci, frecce ecc.) e l’installazione del pulsante della frizione servoassistita, pochissime altre cose. La principale è la sostituzione del manubrio con uno del modello California che, avendo bracci più ampi e lunghi, aumentando il braccio di leva permette di mantenere l’equilibrio con un sforzo minimo. Per concludere, devo ancora comprendere un paio di cose – tipo se fermi al minimo è sufficiente azionare il freno per impedire l’abbrivio in avanti o se è necessario disinnestare la frizione per scongiurare lo spegnimento del motore – ma il più è deciso. Anzi, se qualcuno ha suggerimenti, informazioni da darmi o addirittura è a conoscenza di Convert in vendita, può scrivere nei commenti: gliene sarei davvero molto grato. Per il momento è davvero tutto. Alla prossima.
SCHEDA TECNICA (da motociclismo.it)
Motore: bicilindrico 4 tempi a V frontale di 90°; alesaggio per corsa 88×78 mm, cilindrata totale 948,8 cc; rapporto di compressione 9,2:1; potenza max 71 CV a 6.500 rpm; distribuzione a aste e bilancieri con asse a camme nel V dei cilindri comandato mediante catena duplex.
Accensione: a batteria con due ruttori e anticipo automatico: anticipo iniziale 2°, anticipo automatico 31°, anticipo totale 33°; distanza tra i contatti 0,37-0,43 mm; candela a radice lunga di grado termico 225 scala Bosch, distanza elettrodi 0,6 mm.
Avviamento: elettrico con motorino 12 V / 0,7 CV, innesto elettromagnetico con pulsante.
Trasmissioni: primaria a ingranaggi, rapporto 1,157 (19/22); secondaria a albero con doppio giunto cardanico e ingranaggi, rapporto 3,778 (9/43); rapporti totali di trasmissione: primaria 6,12, secondaria 4,589 con rapporto di demoltiplicazione del convertitore riferito al regime di potenza massima.
Frizione: dischi multipli a secco.
Cambio: a ingranaggi sempre in presa con 2 rapporti; valore rapporti interni: prima 1,333 (18/42), seconda 1 (22/22).
Telaio: doppia culla chiusa scomponibile in tubi d’acciaio.
Sospensioni: anteriore forcella telescopica Moto Guzzi con ammortizzatori idraulici incorporati, 50 cc di olio per gamba; posteriore forcellone oscillante con coppia di ammortizzatori telescopici idraulici.
Ruote: cerchi a raggi in lega leggera WM 3/2, 15×18” con profilo di sicurezza anti-sfilamento del pneumatico (safety rim); pneumatici Metzeler 4,10H18 oppure 110/90H18, pressioni di gonfiaggio ant 2,1 bar, post 2,4/2,6 bar.
Freni: impianto idraulico a 3 dischi con due pinze collegate (sistema integrale); due dischi anteriori da 300 mm, disco posteriore da 242 mm; freno di stazionamento meccanico sul disco posteriore azionato dall’apertura del cavalletto laterale.
Impianto elettrico: a 12 V con generatore alternatore Bosch G1 14 V-20 Ah; batteria 12 V-32 Ah; faro anteriore asimmetrico da 170 mm con lampada bilux 45/40 W, lampadina posizione a siluro 5 W, fanale posteriore con 2 lampadine 12 V-5/21 W tipo R19; lampade spia generatore, olio, ecc. 12 V-3 W sferiche; due avvisatori acustici, 5 fusibili da 16 Ah.
Dimensioni e peso: lunghezza 2.200 mm, passo 1.470 mm, larghezza manubrio 870 mm, altezza manubrio 1.090 mm, altezza sella 810 mm, altezza pedane 290 mm, altezza minima da terra 150 mm; peso in ordine di marcia senza accessori 261 kg circa.

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Harold and Maude (Hal Ashby), 1971